Le parole che contrastano il conformismo

 

Io ho un medico piuttosto curioso.

Per fortuna non ne ho avuto quasi mai bisogno, se non per qualche prescrizione, di tanto in tanto.

Noi pazienti, rispetto alle altre persone, abbiamo aspettative molto più basse: siamo già contenti di essere ancora tutti vivi.

La prima volta che mi ha incontrata, il mio dottore mi ha chiesto: “ma nel tuo paese non c’erano altri medici disponibili?”; da quel momento in poi è nato un rapporto di malcelata sopportazione, poca fiducia reciproca e occhiate circospette.

Mi ha registrata sulla sua rubrica telefonica sotto il nome “Antonella”, perché Virna era troppo complicato (il mio dottore non è italiano) e non lo ha più cambiato; ragion per cui ogni volta che deve scrivermi una ricetta, impreca nella sua lingua.

Il mio dottore è antitecnologico, ha dei seri problemi con il computer e la stampante, ma si rifiuta categoricamente di avere un assistente.

Non è raro, perciò, che una sua visita duri cinque minuti, ma ne impieghi venti per digitare i tasti sul PC con l’indice destro.

Come è facile immaginare, le attese di noi pazienti nella sala comune diventano lunghissime e questo fatto ci ha uniti in modo insolito

Ieri, mentre aspettavo pazientemente il mio turno, mi è bastato ascoltare l’ennesima lamentela di un paziente per farmi alzare dalla sedia con risolutezza e decidere di cambiare medico, una volta per tutte.

Mi sono quindi diretta al distretto sanitario e, senza dargli il tempo di controbattere, ho minacciato l’impiegato che se mi fosse accaduto qualcosa, mi avrebbe avuto sulla coscienza; che cosa poi, non si sa bene, visto che non avevo nulla, ma ho comunque ottenuto l’effetto sperato.

Ora ho una dottoressa nuova di zecca, anche se di un distretto diverso dal mio.

A volte è sufficiente alzare le proprie aspettative e fare il primo passo per cambiare.

Le parole che contrastano il conformismo

Secondo il filologo Igor Sibaldi in questi anni nei paesi occidentali tira aria di conformismo come raramente è accaduto negli ultimi tre secoli.

Durante questi periodi di conformismo non c’è nessuna differenza tra ciò che è permesso dire e ciò che gran parte della gente crede di pensare autonomamente e vuole sentirsi dire.

E, come ho più volte scritto, anche chi si ribella al potere, non è davvero libero di pensare, dire e agire liberamente. anche quando è convinto del contrario.

Un modo efficace per contrastare questo conformismo imperante è usare parole che siano diverse da quelle in voga ora, quelle che Sibaldi chiama “parole convenzionali”; dovremmo riappropriarci dei vocaboli che abbiano un significato concreto per noi.

Le parole convenzionali hanno un gran successo, perché permettono alle persone di dire cose obbligatorie senza ragionarci su; evitano uno sforzo intellettuale, ma a un caro prezzo: quello di adattarsi agli altri, obbedire a un gruppo di persone senza fare troppe domande.

Tutte le volte che sentiamo parole astratte, che non significano niente di preciso, ma sono ripetute spesso nei discorsi “seri”, dovremmo chiederci: ”questa parola cosa significa davvero per me?”.

Il primo passo per diventare anticonformisti e recuperare un pensiero critico è riappropriarci di un vocabolario attivo.

Non tutti hanno il coraggio di farlo, perché questo vorrebbe dire diventare diversi dai gruppi di persone ai quali appartengono, rischiare di sentirci soli e disadattati.

Per recuperare un linguaggio personale, che non sia quello dei media, delle ideologie diffuse in questo periodo, dei social, è utile riscoprire il significato originale delle parole.

Che la lingua sia viva e cambi nel tempo, è un fatto risaputo; è curioso accorgerci, però, di come negli anni il significato di alcune parole si sia allontanato d gran lunga da quello originale.

Un termine che nel tempo ha cambiato radicalmente il senso è AGGREDIRE.

Questo verbo in origine voleva dire “camminare verso” qualcuno o qualcosa, descriveva un’azione istintiva sana, una pulsione naturale dell’uomo che lo spingeva ad andare a prendersi ciò di cui aveva bisogno, a raggiungere un obiettivo; oggi, purtroppo, ha oggi acquisito un’accezione negativa.

Ora è usato perlopiù quando vogliamo intendere l’atto di attaccare qualcuno, fare del male: peccato che si sia svuotato del suo senso autentico ed elevato.

INVENTARE è un altro vocabolo di cui si è dimenticato il significato originale.

Oggi vuol dire creare qualcosa di nuovo col proprio ingegno, usando la fantasia, ma in origine inventare voleva dire “trovare”, “scoprire”; quasi a farci intendere che esiste già tutto nel mondo, che basta porre l’attenzione su qualcosa, su cui nessuno ha ancora posto la sua attenzione, perché venga scoperta, inventata.

L’origine della parola FORTUNA è legata all’incertezza, al termine “forse”.

Se le parole possono indicarci la strada, allora il vocabolo “fortuna” vuole suggerirci che per averla, dovremmo lasciare le nostre certezze, avventurarci nell’ignoto ed esplorare territori sconosciuti, ancora inesplorati.

ATTENZIONE aveva un doppio significato in origine: non solo “tendere”, ma anche “estendere”; nell’attenzione noi tendiamo ed estendiamo contemporaneamente il nostro mondo.

La nostra attenzione fa esistere tutto quello che noi vogliamo che esista, per tutto il tempo che decidiamo noi.

Il gatto, una stella, un ricordo, una paura, un’idea, il telegiornale, l’influencer di turno: ciò su cui posiamo la nostra attenzione, lo facciamo esistere nel nostro mondo finché non spostiamo l’attenzione altrove.

Che sia un pensiero, le parole di nostra madre, una frase che abbiamo letto poco prima, una persona, un accadimento, tutto ciò esiste per noi finché ci facciamo attenzione, poi sparisce.

L’attenzione è una delle capacità più importanti che abbiamo e spesso la usiamo con troppa leggerezza.

Quante volte ci concentriamo su un problema e ne restiamo impegolati fino a stare male.

Ma la parola PROBLEMA in origine voleva dire “lanciare avanti”, “gettare lontano”, come a dire che abbiamo un problema tutte le volte che lanciamo lo sguardo più in là, che desideriamo qualcosa che ancora non abbiamo.

Chi si accontenta, chi si adatta, chi non fa domande, ha meno problemi degli altri nella vita.

I problemi non andrebbero mai visti come una sciagura che ci è capitata fra capo e collo, ma come un’opportunità di crescita; non dovremmo scapicollarci per eliminarli o risolverli al più presto, ma dovremmo lasciarci guidare da loro e vedere dove ci vogliono portare.

 
Virna Cipriani