Arte e tecnologia: amiche o nemiche?
Quando ero poco più che ventenne, alcuni amici musicisti veneziani mi proposero di fare la protagonista femminile del loro videoclip. All’epoca io studiavo teatro.
Il cachet: una pizza con la birra. Accettai di buon grado.
Il regista aveva scelto come location un bellissimo appartamento di un suo amico nei pressi di Vicenza.
In una scena del video dovevo dondolarmi sopra un’altalena appesa al soffitto del soggiorno, mostrando un’aria trasognata.
Mentre dondolavo, cercando di calarmi nella parte, una corda dell’altalena si spezzò e io caddi per terra sbattendo il sedere e lussandomi l’osso sacro.
La mia carriera di attrice finì sul nascere e il gruppo di amici si sciolse poco dopo.
Qualcuno di loro smise di suonare, qualcun altro si dedicò a nuovi progetti musicali, ottenendo delle belle soddisfazioni.
Ma non è questo il punto.
A quei tempi gli attori di prosa non usavano il microfono.
Lo so bene, perché nelle scuole e durante i corsi di recitazione noi allievi passavamo ore e ore a imparare la tecnica: come impostare la voce e sostenerla usando il diaframma, come far sì che fossimo sentiti dagli spettatori seduti all’ultima fila.
Ora le cose sono cambiate. Lo sono, in realtà da diversi anni, e molte compagnie di teatro scelgono di microfonare gli attori, anche se non cantano, anche se recitano nei teatri classici, quelli progettati ad arte per favorire l’acustica.
In un’intervista un’attrice e insegnante di recitazione ha ammesso di preferire gli spettacoli senza microfoni, ma poiché molti giovani attori non vogliono più studiare come un tempo, compensano la mancanza di tecnica con la strumentazione.
Dopo aver ascoltato le parole di quell’attrice, mi sono fatta una domanda: quando è lecito ricorrere alla tecnologia e quando diventa una scusa per non prepararsi a dovere?
Carmelo Bene, per esempio, non è mai stato un allievo modello, tutt’altro; in Accademia è stato un ribelle, un alunno che faticava a rispettare le regole, come hanno testimoniato molti aneddoti che lo riguardavano.
Ma era un genio creativo, questo è indiscusso, uno di quelli che nasce un volta ogni diecimila anni.
Lui stesso utilizzò dei microfoni e alcune strumentazioni avanzate per il suo teatro all’avanguardia.
Ma, come ha raccontato un giornalista, Carmelo Bene era un vero attore e poteva permetterselo.
Una volta, durante uno spettacolo in cui l’artista pugliese portò in scena una sua versione originale dell’Otello, il microfono smise di funzionare, ma lui continuò a recitare senza alcun problema e fu applaudito calorosamente dal pubblico che a malapena se ne accorse.
Questo perché era un attore autentico e si serviva della tecnologia per rappresentare una sua idea innovativa di teatro e non per compensare delle mancanze tecniche.
La tecnologia è nemica o amica dell’arte?
I pittori dell’Ottocento che videro nascere la fotografia, guardarono il progresso tecnologico con sospetto e scetticismo; idem per gli attori che fecero i conti con le prime pellicole cinematografiche.
L’arte digitale può essere considerata “bella” come quella tradizionale, è in grado suscitare le stesse emozioni?
Grazie alla tecnologia oggi chiunque può scrivere e pubblicare un romanzo. Ne so qualcosa, perché mi arrivano diversi libri da parte di autori emergenti o sconosciuti che mi chiedono una recensione sulla mia pagina di Instagram.
Se una volta sarei stata più incoraggiante e avrei sostenuto qualsiasi guizzo creativo, negli ultimi tempi mi sto ricredendo.
Non tutti possono scrivere un romanzo.
La letteratura è un’arte e non è per tutti.
Non tutti nasciamo con il talento di Dino Buzzati o di Elsa Morante come non tutti nasciamo col genio di Carmelo Bene o di Eleonora Duse.
Quel che è peggio è che, pur consapevoli di non avere quelle doti, molti non hanno la voglia di compensare con lo studio e la preparazione tecnica.
E allora si nascondono dietro la tecnologia: per realizzare comunque il proprio sogno; per avere tra le mani un libro da mostrare agli altri; per giustificare le carenze: “il mio romanzo ha una struttura narrativa originale, innovativa, ibrida in cui si mescolano più tecniche, più linguaggi diversi, moderni, avanguardistici…
No! Il tuo romanzo fa cagxxxre e basta.
Riconoscerlo è il primo passo per rimboccarsi le maniche e cominciare a studiare, a scrivere, per imparare ed esercitarsi.
E poi, stare a vedere se ne esce fuori qualcosa di di buono oppure no.
Non tutti dobbiamo diventare dei romanzieri per forza, no?
Io mi dico spesso: “quando avrò letto tutti tutti i classici esistenti, scriverò il mio primo romanzo”.
E nel frattempo, posso godermi l’operato di chi quel talento lo possedeva davvero; butto un occhio alla pila sempre più alta di libri che mi aspetta sul comodino e provo un enorme piacere al solo pensiero di non averli letti ancora tutti.