I dizionari: un aiuto prezioso quando si scrive
“Quanto assomigli a mio padre” mi ha ripetuto per la milionesima volta mia madre, “ma ogni tanto ricordati che tu sei nata donna”.
Mio nonno è stato il mio riferimento più importante in famiglia. È stato nonno, nonna, papà e mamma insieme.
Da piccola ho trascorso molto tempo dai miei nonni.
Credo di avere avuto tutte le malattie tipiche dell’infanzia, nessuna esclusa; mia madre, ogni volta che mi ammalavo, mi lasciava dai nonni per il terrore che contagiassi le mie sorelle.
Quando i miei genitori hanno divorziato, mia madre mi ha portato dai miei nonni; quando abbiamo venduto la casa per trasferirci in città, pure.
Io ero felice. Tra me e mio nonno c’è sempre stata un’intesa profonda.
Purtroppo se n’è andato troppo presto, quando io ero ancora piuttosto piccola.
Mio nonno è stato un giornalista, scrittore e ghostwriter. Lui non lo sa, non ha fatto in tempo a scoprirlo, ma mi ha trasmesso l’amore per la scrittura.
Ci ha lasciati il primo aprile, conoscendolo non avrebbe potuto scegliere un giorno migliore.
Al suo funerale la chiesa del paese era gremita di gente; persone che noi non conoscevamo, affezionate a nostra insaputa a mio nonno, ognuna per un motivo diverso.
Gente che non sapeva quasi nulla di lui tant’è è che rimasta sorpresa quando Don Gino, il parroco, ha raccontato la sua carriera.
Pur essendo piccola, io non ero affatto sorpresa.
Mio nonno si presentava in maniera umile.
In inverno indossava dei pantaloni a coste marroni, dei maglioni con le toppe ai gomiti e il suo immancabile basco.
Durante l’estate aveva sempre dei ridicoli pantaloni azzurri, lunghi fino al ginocchio, che lasciavano scoperte le sue gambe magre e storte.
Mio nonno era speciale.
Spendeva gran parte della sua pensione regalando libri, giocattoli e fumetti ai bambini del paese.
Mia nonna, preoccupata per i soldi, lo rimproverava: “oh Pierino” (si chiamava Pietro), “te tu ti scordi che c’abbiamo le bollette da pagare”.
I miei nonni erano di Firenze, hanno lavorato a Roma e poi hanno seguito mia madre a Treviso.
Mia nonna ha lavorato per molti anni come crocerossina.
Ha passato la sua vita a controbilanciare l’indole sognatrice e idealista di mio nonno, a riportarlo a terra, quando passava troppo tempo per aria.
Era una donna seria, piuttosto schiva e silenziosa. Ma guardava mio nonno con amore e orgoglio, io me ne accorgevo.
Quando l’accompagnavamo a fare la spesa, lei entrava nel supermercato, mentre mio nonno e io ci sedevamo sul marciapiede fuori dal negozio ad aspettarla.
Nel frattempo, lui m’intratteneva appioppando dei soprannomi buffi ai passanti e inventando delle storie sul loro conto.
Poi. mia nonna ci raggiungeva e rimproverava mio nonno:” Pierino alzati, cosa insegni così alla bambina”.
Di giorno mio nonno si piazzava davanti alla sua Olivetti, appoggiata su un solido tavolo di legno, con una sfilza di quotidiani davanti.
Leggeva le notizie, brontolava sottovoce e poi iniziava a battere a macchina.
All’epoca la sua Olivetti mi sembrava enorme.
Io gli sedevo accanto, con la schiena ben eretta, seria in volto, i miei colori per disegnare, cercavo di darmi un tono per imitarlo.
Di notte dormivo nel suo lettone (miei nonni avevano camere separate per comodità).
Mi raccontava sempre le stesse barzellette sciocche che facevano ridere soltanto lui.
Infatti, rideva fino alle lacrime e io, per non essere da meno, ridevo insieme lui anche se non le capivo fino in fondo.
Di tanto in tanto capitava che, colta dall’entusiasmo, corressi da lui e andassi a sbattere contro lo spigolo di un mobile e lui commentasse: ”o nini.. per i bischeri un c’è paradiso”
Mio nonno era un fiume in piena di abbracci, risate e voglia di vivere.
Era protettivo e affettuoso, l'unico in famiglia, come ho avuto modo di constatare amaramente nel tempo.
Era un rifugio sicuro.
Sprofondavo nelle sue braccia che odoravano di tabacco e pino silvestre e stavo bene.
Mi ascoltava lamentarmi degli insegnanti di scuola, con la stessa attenzione che riservava a un suo coetaneo.
Quando gli confidavo di essermi sentita intimidita in un’occasione particolare, lui mi dava consigli bizzarri, ma efficaci.
“Se qualcuno ti guarda con insistenza, mettendoti a disagio, tu osservagli la punta delle scarpe, poi guardalo in faccia con aria di rimprovero e infine torna a guardargli le scarpe. Vedrai come smetterà di fissarti” e rideva.
Mio nonno scriveva note e appunti ovunque: ai margini dei libri, sui documenti, sui tovaglioli di carta.
Da adulta ho ritrovato il suo libricino che lo ha accompagnato negli ultimi anni di vita, Le confessioni di Sant’Agostino, pieno zeppo di note e sottolineature.
Una volta ha preteso di scrivere anche sul mio quaderno di italiano.
Detestava le correzioni in rosso delle maestre.
Dopo aver corretto apposta con una penna rossa i segni della mia insegnante che riteneva ingiusti, ha scritto in fondo alla pagina: “se nei temi chiede a bambini di elencare gli oggetti dentro l’armadio della classe, come può pensare che esprimano la loro creatività?”.
Inutile dire che in quei frangenti la mia maestra schiumasse di rabbia,
Mio nonno aveva la patente scaduta, perciò girava con un motorino bianco e blu.
A volte mi portava con sé. Sistemata in piedi fra le sua gambe, le mani strette sul manubrio, scorrazzavamo per le stradine del paese.
Quando era da solo, raggiungeva in motorino anche le città vicine, come Padova, facendo stare mia nonna in pensiero per tutto il giorno.
Una delle tante abitudini che mi ha trasmesso.
Da ragazzina pretendevo di percorrere distanze improbabili col mio motorino, scordandomi di mettere la miscela per poi ritrovarmi a pedalare dei chilometri e tornare a casa sudata.
Mio nonno non ha mai perdonato fino in fondo a mia madre di aver interrotto gli studi per lavorare come commessa pda Gucci in Via Condotti.
Le me sorelle e io dobbiamo i nostri nomi al suo lavoro.
Il mio, in particolare, lo devo al primo incontro tra mia madre e una giovanissima Virna Lisa che si era presentata sorridente nel negozio, un vassoio stracolmo di pastine da offrire al personale fra le mani.
Per fortuna mia madre ha messo al mondo soltanto tre figlie, ma avrebbe avuto nomi per un’intera squadra di calcio, perché in quel tempo, negli anni della dolce vita, da Gucci passavano tutte le attrici e gli attori italiani e hollywoodiani più celebri.
Adoro ascoltare i suoi aneddoti sui personaggi famosi che ha servito da Gucci.
“Ricordati ogni tanto che tu sei nata donna” mi rimbrotta ogni tanto anche adesso che sono cresciuta.
Lei sempre molto curata ed elegante, mi ha più volte criticata negli anni, perché uscivo di casa con un filo di trucco; perché ho sempre preferito abiti comodi e non ho mai amato particolarmente gioielli e accessori troppo vistosi (io non ho mai avuto nemmeno i buchi alle orecchie).
“Non hai proprio scuse tu” ha continuato, riferendosi al fatto che oggi i negozi offrono una vasta scelta di abiti.
Noi donne della famiglia siamo tutte piuttosto piccole e mingherline.
Ai suoi tempi andava di moda una bellezza curvilinea e nei negozi di abbigliamento italiani, che si adattavano alle mode, si trovavano di rado abiti femminili della taglia 38.
Mia madre, perciò, era costretta a comprare i suoi abiti a rate nei negozi francesi, pagandoli una fortuna.
Ogni tanto rubava a mio nonno dei libri che le case editrici gli inviavano perché li recensisse e coi soldi si comprava una camicetta o una gonna.
Mio nonno aveva sempre pile di libri ovunque di cui si dimenticava.
Sul tavolo, accanto alla Olivetti, campeggiava un dizionario di lingua italiana; lo sfogliava, lo studiava, faceva le orecchie alle pagine, lo consultava di continuo.
Una volta un bambino gli ha domandato cosa dovesse fare per diventare un giornalista e lui gli ha risposto: “studiare il dizionario”.
Ecco un’altra abitudine che ho ereditato da lui.
Io non scrivo se non ho il mio dizionario a portata di mano.
Nel tempo, accanto al vocabolario di italiano, si sono aggiunti va via altri dizionari: quello dei sinonimi e dei contrari, il dizionario delle collocazioni e il dizionario delle emozioni.
Il dizionario delle collocazioni, in particolare modo, può essere di grande aiuto quando si scrive online, perché permette di evitare i luoghi comuni e suggerisce innumerevoli alternative più eleganti e originali.
Basta cercare un sostantivo che lui ti elenca una serie di aggettivi e di verbi che si combinano bene con quel nome.