Di Baglioni, Bergonzoni e del giocare abilmente con le parole

 

Il mio amore per le parole e la scrittura è tale che influenza il rapporto che ho con la musica.

Quando ascolto una canzone, quasi sempre cerco il testo, devo capire le parole, sentirle mie, restare sorpresa da un’espressione originale.

Pur amando tantissimi brani e cantanti, ci sono alcuni cantautori che in questo senso ho nel cuore.

Le canzoni di Franco Battiato (e Sgalambro) per me sono come le fiabe, come i racconti esoterici di Pinocchio e Alice nel Paese delle Meraviglie, come Mary Poppins, sono testi stratificati che permettono più chiavi di lettura a seconda della propria consapevolezza.

Ognuno prende quel che è pronto a prendere in un dato momento.

Su Battiato sono stati scritti fiumi di inchiostro.

Da poco mi sono imbattuta in un piccolo libro sul maestro, che fa parte di una raccolta di quattro volumi, davvero molto interessante: “Battiato Sgalambro Gurdjieff. Sincretismi dell’indicibile” di L. Giuliodori.

Le canzoni di Lucio Dalla per me sono come dei quadri che si animano. Ogni volta che le ascolto, mi vengono in mente i dipinti in gessetto che Bert, lo spazzacamino di Mary Poppins, disegnava sull’asfalto. Bastava saltarci “dentro” perché prendessero vita.

Guarda caso P. L. Travers, l’autrice d Mary Poppins, è stata un’iniziata, come Battiato, e probabilmente un’alleva diretta di Gurdjieff.

Sono affascinata dai giochi di parole e c’è un insospettabile cantautore che ha scritto uno fra gli album, per me, più belli della musica italiana: Claudio Baglioni.

Il suo “Oltre” è una miniera d’oro di giochi di parole, di figure retoriche e creatività.

È un peccato che di quell’album il brano che sia rimasto più impresso nella mente delle persone sia Mille giorni di te e di me che sì, è romantico, ma non è di certo il più interessante dal punto di vista linguistico.

Baglioni ha un uso abile ed elegante della scrittura.

Veste le melodie di espressioni originali, parole armoniose; ognuna è esattamente dove deve stare, senza l’esigenza di cambiare accenti, di fare incastri forzati.

Rende le parole sensuali, ironiche o malinconiche, cambia tono di voce in base alla melodia con un’agilità e un’eleganza uniche.

In alcuni brani di “Oltre” Baglioni riesce a esprimere sensualità e passionalità senza ricorrere mai alla parola sesso, ma attraverso la tecnica “Show, don’t tell”.

Quella tecnica di scrittura attraverso la quale non basta cavarsela con una frase generica del tipo “questo piatto è saporito” per esprimere al meglio le sensazioni; si devono usare parole evocative che ci permettano di vivere l’esperienza di quel cibo attraverso tutti i sensi.

Questo intendo quando dico che Baglioni ha una scrittura elegante.

Sesso è una parola vuota, è astratta; lui sceglie di usare parole evocative ed emozionanti, piene di significato.

È sufficiente confrontare i testi di “Oltre” con quelli di molti rapper o trapper popolari oggi.

Emerge tutta la povertà espressiva di questi ultimi. Testi stracolmi di parole inutili, intrisi di termini sessuali generici e per nulla evocativi.

Può sembrare azzardato, ma l’album “Oltre mi ricorda l’autore Alessandro Bergonzoni, un autentico funambolo della parola, uno scrittore che con la lingua italiana può fare tutto quello che vuole.

Vederlo dal vivo in un suo spettacolo è un’esperienza unica.

Bergonzoni t’insegna a non incaponirti su una parola, su un concetto per il timore di perderti per strada.

Quello che devi fare da spettatore è accogliere il suo flusso di parole, affidarti a lui, lasciarti trasportare dai suoi giochi di parole e i significati arrivano come per magia da soli.

 
Virna Cipriani