Le parole e le espressioni virali sui social

 

Dopo una settimana di pioggia ininterrotta, la primavera sembra che sia finalmente esplosa.

Pian piano ci stiamo avvicinando a quel periodo dell’anno in cui io vago per la casa abbigliata come una turista tedesca: infradito con gli immancabili calzini ai piedi, pantaloni corti e maglione a maniche lunghe (lo ammetto non sono nella posizione ideale per prendere in giro le scelte stilistiche degli altri).

E conciata in questo modo accolgo con entusiasmo l’arrivo della bella stagione.

Insieme alla natura si risveglia dentro di me la voglia di nuovi progetti, anche se, devo riconoscere, il peso di queste ultime settimane si fa sentire, ahimè.

Un progetto, o dovrei chiamarlo proposito, è quello di eliminare dal mio linguaggio tutti quei trend linguistici che hanno inquinato la nostra bella lingua.

Uno degli aspetti di internet e dei social in particolare che mi spinge a usarli sempre con un po’ di diffidenza è la contagiosità.

Non a caso virale è una parola che simboleggia bene questo mondo.

Tutto in internet può diventare virale da un momento all’altro; in medicina, però, virale è un patogeno (qualcosa che ha la capacità di provocare fenomeni morbosi).

Il web è un terreno fertile per i tic linguistici, così mi piace definirli per evidenziarne l’aspetto nevrotico e involontario, automatico.

Parole o espressioni bruttine e inutili, spesso nate nei salotti televisivi o nelle pubblicità e poi accolte e diffuse sui social, senza un pensiero critico.

Le espressioni sono davvero tante, ma io per ora ne ho annotate soltanto una decina, una più una meno.

Perché ce l’ho tanto con queste formule linguistiche diventate virali?

Oltre a essere quasi tutte bruttine, sono delle soluzioni lessicali preconfezionate che evitano lo sforzo di pensare, trovare un’alternativa migliore, più accurata.

Il rischio è quello di disimparare a cercare parole o espressioni più adatte e creative, termini che rendono meglio una sfumatura e, come conseguenza, di disimparare la lingua italiana.

Le mode linguistiche, per giunta, sono il segno di un atteggiamento conforme e non originale; per questo motivo le ritengo addirittura pericolose in un periodo come questo, dove il conformismo è imperante.

  • come dire

  • vero è

  • x piuttosto che y piuttosto che k

  • quant’altro (alla fine della frase, al posto di “e così via”, “ecc.”).

  • ma anche/ma anche no

  • quello che è/quelli che sono (riprenderò quello che è il mio lavoro/ quelli che sono i miei progetti)

  • spalmare (tutto è spalmabile come la crema alle nocciole: la tredicesima, lo stipendio, ecc.)

  • di più (non sono arrabbiato. Di più)

  • tu m’insegni che

  • asfaltare

  • in qualche modo (in quale modo?)

  • supportare (da supporter, tifoso, invece di sostenere, spalleggiare)

  • diversamente (non è basso, è diversamente alto)

  • non sto piangendo, mi è solo entrato x nell’occhio

  • tra virgolette

Lo scrittore Stefano Bartezzaghi li chiama “tormentoni”, proprio come i tormentoni estivi nella musica, che sono canzoni inutili, non piacciono ma le canticchiamo tutti, perché le ascoltiamo ovunque.

Se, però, radio e programmi televisivi mandassero in onda solo i tormentoni estivi, disimpareremmo ad ascoltare, apprezzare e comporre la musica di qualità.

Anche la punteggiatura non è scampata a queste mode o storpiature; nel web c’è un abuso di punti esclamativi, punti interrogativi alternati a punti esclamativi, puntini di sospensione, virgolette.

A proposito delle virgolette: sono entrate talmente tanto nell’uso comune che vengono aggiunte ovunque.

Così facendo, però, hanno perso il loro scopo originario, quello di citare le parole di qualcun altro o di fare dell’ironia (il “magnifico” rettore: le virgolette ci permettono di cogliere l’ironia nella frase).

Ora che è tutto virgolettato, i fraintendimenti sono all’ordine del giorno, perché c’è chi si è adattato alla moda attuale e chi, invece, è rimasto affezionato all’uso tradizionale della punteggiatura. (Io, per esempio, interpreto le frasi che si concludono con i punti esclamativi come espressioni scritte in modo autoritario, impositivo, perfino arrabbiato.)

Se non vogliamo che la lingua italiana s’impoverisca, dovremmo allontanarci da queste mode e sforzarci di parlare e scrivere (anche quando si tratta di un semplice post sui social) con uno stile più personale.

 
Virna Cipriani