Le parole del mondo per indicare il lavoro

 

Amo vivere in un piccolo paese, meglio ancora se immerso nel verde delle colline; amo la semplicità che si respira in qualsiasi luogo, che sia la banca o il fruttivendolo, il calore e la genuinità delle persone.

Quando ho bisogno di staccare il cervello, vado a bere un caffè da Ugo.

Lì mi faccio coccolare da lui e i suoi amici, ascolto affascinata le loro storie, trascorro un’ora serenamente.

Ugo è un ex musicista, un ex tenore e rockettaro. Amo ascoltare gli aneddoti sui vari artisti che ha incontrato lungo la strada.

Il suo bar rappresenta alla perfezione lui, la sua vita interessante, la sua passione per l’arte.

È un piccolo posto stracolmo di vinili, cd, libri, quadri e foto antiche.; credo sia uno fra i pochi locali in cui puoi bere ancora un buon caffè a un euro, perché, come dice lui, è un luogo d’incontro in cui ha scelto di trascorrere la sua vecchiaia, e non un lavoro per guadagnare soldi.

Oggi, mentre ascoltavo Ugo e i suoi amici, mi sono venute in mente le parole di Igor Sibaldi sul lavoro e sulla ricchezza.

Le parole per indicare “lavoro”

Come spiega lo studioso, noi abbiamo la tendenza ad associare la ricchezza ai soldi; è normale che accada, perché tutto ciò che vogliamo possedere ha sempre un costo.

In realtà, le parole che finiscono in -ezza indicano qualità, e non quantità che possono essere calcolate. (la ricchezza, la bellezza, la dolcezza, e via dicendo).

Ricchezza è più vicina a un concetto di abbondanza di idee, passioni, energie, tempo, desideri, dubbi, domande, che al denaro.

Siamo ricchi quando ci consentiamo l’abbondanza d tutte queste cose; troppe volte ce ne scordiamo e diamo ai soldi il valore che avremmo dovuto dare, invece, a idee, passioni, talenti, tempo, ecc.

Così facendo, però, attribuiamo ai soldi anche un valore emozionale ed esistenziale e, come conseguenza, siamo disposti a faticare molto per guadagnarli.

Gran parte delle persone, però, si ritrova a sacrificare proprio tutti quegli elementi che facevano la vera ricchezza, come il tempo, le passioni, le energie, i talenti ecc.

È interessante osservare, come spiega Sibaldi, che in quasi tutte le lingue esistono due vocaboli per indicare la parola “lavoro”, fatta eccezione per la lingua italiana, quella francese e quella spagnola.

In inglese “lavoro” si può dire in due modi: job e work; in tedesco si dice arbeit e werk; in russo rabota e trud; in ebraico ‘avodah e mela’kah.

Mentre il primo termine sta a indicare un lavoro a cui ci si è rassegnati per avere uno stipendo alla fine del mese, il secondo vocabolo indica, al contrario, un impiego che si ama davvero, che si fa per vocazione, con piacere.

Il termine russo rabota vuol dire addirittura “essere schiavo”, mentre la parola ebraica ‘avodah significa “schiavitù”.

Mentre tre lingue europee, fra le quali la nostra, sono prive di una parola che sia collegata al concetto più elevato di ricchezza, cioè mettere in gioco passioni, talenti, desideri, energie e tempo, ma hanno solamente un termine che indichi piuttosto un’attività di 8/9 ore al giorno, 6 giorni alla settimana, per arrivare ad avere uno stipendio.

E, in genere, gli italiani che non si sono rassegnati a questo, a un lavoro che sia una “schiavitù”, e hanno scelto, piuttosto, di trovarsi un work oppure, detto in ebraico, una mela’kah (parola la cui radice significa “angelo” o “re”) sono persone a cui gli altri, prima o poi, domandano: ”quando crescerai e ti troverai un lavoro serio?”.

Eppure basterebbe solamente guardarli, mentre fanno quello che amano, parlano di ciò che li appassiona davvero, per notare l’espressione del loro viso addolcirsi e gli occhi che sorridono.

Le persone diventano inconsciamente più belle quando si concentrano su ciò amano davvero e non su qualcosa che suscita in loro dispiacere, fatica o frustrazione.

 
Virna Cipriani