L'arte è un atto politico?
In questo periodo dell’anno, quando i quartieri si svuotano, amo andare a leggere in un parco vicino casa mia.
Non c’è quasi mai nessuno; ritrovo pace e qualche volta ne approfitto per liberarmi dei sandali e stare scalza, a contatto con l’erba.
È un piacere che mi porto dietro da quando sono bambina. Sono cresciuta in campagna, ho sempre adorato giocare a piedi scalzi sull’erba.
Mia madre mi ha raccontato che quando andavo all’asilo dalle suore, tornavo a casa sempre un po’ agitata. Dovevo levarmi le scarpe, correre in giardino intorno alla casa per alcuni minuti, prima di fare merenda.
L’erba per me è un ponte che mi riporta di colpo indietro, alla mia infanzia; è sufficiente appoggiare i piedi scalzi, sentire una zaffata di erba appena tagliata o bagnata poco dopo un temporale, per tornare bambina.
Proprio in questi giorni ho letto l’ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa, I venti, uscito in Italia dopo la sua morte.
Un piccolo romanzo che secondo me potrebbe dare una risposta plausibile a una domanda a cui penso da un po’ di tempo: l’arte è un atto politico?
Stamattina mi sono imbattuta in una frase sui social, si chiede agli artisti di fare i politici, che mi ha fatto di nuovo pensare a questo dilemma, un tema che vorrei approfondire, specie in questo periodo così particolare.
L’arte può (deve) occuparsi di politica o farebbe meglio a restarne fuori?
Io una risposta obiettiva non ce l’ho.
La mia opinione è influenzata dalla musica che ho ascoltato quando ero più giovane.
Sono cresciuta con Michael Jackson; poco più che ventenne ascoltavo anche Bob Dylan, Doors, Janis Joplin, Joan Baez; ma anche cantautori italiani come Silvestri, Gazzé, Bersani, Battiato, Consoli (chi pensa che la Consoli abbia cantato solo brani d’amore dovrebbe ascoltare “Eco di sirene” o “Un sorso in più” per esempio).
Probabilmente non c’è una risposta categorica; ogni musicista è diverso dall’altro, i generi sono diversi.
Io credo, però, che l’arte abbia una possibilità imperdibile: quella di raccontare un periodo storico, diventare testimone privilegiato di un momento preciso e poterlo immortalare.
Gli artisti, che lo vogliano o no, influenzano le persone, le educano, la fanno riflettono, diventano dei modelli da imitare per qualcuno.
Possono perfino contribuire a fare pressione affinché un guerra finisca, come è accaduto negli anni ‘60 durante la guerra in Vietnam.
Anche nella pittura ci sono stati artisti che hanno sentito l’esigenza di mostrare gli orrori della guerra attraverso i propri dipinti, per esempio, basti pensare a Goya o Dalì; e chi non conosce le poesie di Ungaretti?
La forma d’arte che forse conosco un pochino di più è la letteratura.
Jane Austen, una fra le scrittrici inglesi più lette di tutti i tempi, amata soprattutto dalle donne: chi crede che parli solo di balli e matrimoni non la conosce bene.
La Austen è cresciuta in una famiglia di attivisti e abolizionisti, era contro la schiavitù; attraverso la vita dei suoi famigliari, la scrittrice riusciva a informarsi sugli eventi del mondo.
Certe idee radicali e coraggiose sulle donne, gli uomini, la povertà, le ingiustizie sono più che presenti nei suoi romanzi.
Un personaggio della letteratura russa che ho amato tanto è stato Levin, in Anna Karenina. Tolstoj ha messo in bocca a Levin alcune riflessioni profonde sulla società, la politica e la religione, il disprezzo nei confronti di certe convenzioni sociali, di alcuni privilegi aristocratici dell’epoca.
Steinbeck ha denunciato le condizioni dei contadini, la parte più povera della società, il loro sfruttamento, l’espropriazione ingiusta dei terreni; nei suoi romanzi racconta come la polizia bruciasse i campi in cui si riunivano i contadini, perché temeva che insieme avrebbero ragionato, si sarebbero organizzati per diventare un po’ più forti e tutelati.
Tornando a Llosa, nel suo piccolo libro “I venti”, lo scrittore peruviano approfitta del monologo interiore del protagonista, un vecchio signore spagnolo, per lasciare al lettore degli spunti di riflessioni molto profondi.
Ecco alcuni stralci che ho voluto annotare:
Sarà che la cultura non ha più alcuna ragion d’essere in questa vita? Che le sue funzioni di un tempo, acuire la sensibilità, l’immaginazione, far vivere il piacere della bellezza, sviluppare lo spirito critico delle persone, per gli essere umani di oggi non contano più, perché la scienza e la tecnologia sono in grado di sostituirli al meglio?
Quando leggo riflessioni come queste, sono riconoscente agli scrittori che hanno trovato il coraggio di infilare le proprie idee, degli spunti di riflessioni, alcune opinioni o provocazioni nei loro romanzi, attraverso i loro personaggi.
Entrambi abbiamo l’impressione che in segreto siano tutti d’accordo nel difendere un sistema in cui il governo e le imprese sono sostanzialmente concordi sul mentire di concerto, simulando discrepanze che in realtà sono soltanto superficiali, perché esiste un’intesa di base volta a mantenere questo sistema capace di ingannare tutti visto che sembra funzionare benissimo, dal momento che garantisce una libertà che è una mera cortina di fumo inventata dalla tecnologia avanzata che tiene tutti impegnati.
Uomini e donne sono diventati ignoranti, manipolati quasi esclusivamente dalla scomparsa della cultura o, per meglio dire, dalla sua trasformazione in mero intrattenimento.
Negli anni mi sono formata e ho maturato alcune idee, una sensibilità su certi temi grazie ai romanzi che ho letto, ai film che ho visto, alle canzoni che ho ascoltato.
Sono grata a quegli artisti che hanno scelto di esporsi, hanno sentito l’esigenza di dire la loro sulla politica e la società, su argomenti a volte anche delicati e controversi. Chi può dire che hanno fatto male o che la loro non sia arte?
Oggi può sembrare più difficile rispetto a un tempo, intimorire perfino un po’,
C’è un sistema costruito e consolidato a tal punto che non permette tanto margine di azione, almeno se punti a ottenere un certo riscontro, a parlare a una platea ampia.
Come ha raccontato a suo tempo Steinbeck, chi è al potere non vuole che ci si riunisca, si ragioni, ci si organizzi.
I social, per esempio, sono stati ideati per raggiungere un bel gruppo di persone in poco tempo, a patto che si parli dei certi temi, si diffondano alcune idee e non altre.
È illusorio pensare di andare contro il sistema, criticarlo, metterlo in dubbio restando all’interno del sistema stesso. Bisogna faticare un po’ di più, cercare altre vie creative per parlare a più persone.