Fidarsi delle sincronicità
Credo profondamente nelle sincronicità.
Oggi, mentre camminavo in collina, ho adocchiato un libro dentro una piccola libreria aperta, ricavata dentro il tronco di un albero.
Era un piccolo libro intitolato “La felicità elementare”, riposto con cura sopra una mensola vuota, dentro un sacchetto di plastica per proteggerlo dalla pioggia.
Un sasso piazzato davanti lo teneva bloccato.
Era stato chiaramente messo là affinché qualcuno lo prendesse e infatti al suo interno, sulla prima pagina, l’autrice ha scritto: “Buona lettura!” - Progetto bookcrossing 2025.
Convinta che quel libro stesse chiamando proprio me, fosse ciò di cui ho bisogno ora, l’ho preso, determinata a leggerlo in breve tempo e riportarlo indietro, una volta finito.
Si tratta di alcuni racconti in cui le protagoniste sono donne che hanno subìto una ferita nel passato; sono fiere, appassionate, ostinate, determinate a trasformare la propria vita e a non rinunciare più alla loro felicità.
Amo queste sincronicità.
Da tempo sono convinta che portino dei messaggi, che ci diano delle risposte nei momenti confusi o ci suggeriscano una via da percorrere.
E amo la condivisione.
Mi piace lasciare piccole tracce personali anonime nei luoghi pubblici, spunti di riflessione destinati a qualche estraneo di passaggio pronto ad accorgersene.
Sarà un caso che il mio film natalizio preferito sia Serendipity:) ?
In un centro commerciale vicino a casa mia c’è una piccola libreria gratuita, sempre aperta al pubblico.
Chiunque può liberamente lasciare o prendere dei libri, senza doversi registrare.
Quando ne porto uno, mi piace lasciare fra le pagine un foglietto su cui ho annotato una frase che ho letto da qualche parte e mi ha fatto sorridere, mi ha spinta a cambiare o a reagire in un momento difficile.
Poco tempo fa ho comprato la settimana enigmistica da regalare a mia madre, senza sapere che l’avesse già.
Allora ho individuato una panchina vicino a una fermata dell’autobus e ho lasciata la mia copia con una matita là, immaginando che qualcuno si mettesse a fare le parole crociate, mentre aspettava annoiato il suo bus.
Stamattina mi sono svegliata e ho deciso di fare una passeggiata in mezzo al verde; mi sono imbattuta in quel libro e per qualche inspiegabile impulso ho scelto di portarlo a casa.
Noi siamo convinti di padroneggiare le nostre esistenze, senza accorgerci che stiamo vivendo dalla prospettiva di un io piccolo.
È da tempo che mi sono convinta che ognuno di noi abbia una coscienza più saggia, un io grande, che ci guida realmente e architetta gli eventi più importanti della nostra vita.
Il piccolo io può scegliere se ascoltare o ignorare i suoi suggerimenti, può intralciare e rallentare si suoi piani, ma non ha davvero uno spazio d’azione.
In questi giorni sto riflettendo molto sul mio futuro, su tante cose, sono alla ricerca di un segnale che mi indichi la direzione giusta, mi dia un cenno evidente.
O forse cerco solo un conferma, una rassicurazione, quando mi assalgono i soliti vecchi timori, un senso di inadeguatezza.
Mi piace pensare che il mio io grande abbia organizzato quel ritrovamento speciale per inviarmi una risposta, per infondermi il coraggio ad andare avanti, a prendermi la felicità che merito.
Troppe volte siamo assorbiti da battaglie che riteniamo irrinunciabili, crediamo che tutto dipenda da noi, dal nostro agire, ma stiamo ragionando con l’io piccolo (qualcuno lo chiama ego).
L’io grande supervisiona “dall’alto”, come un padre amorevole e attento.
Mentre l’io piccolo si muove all’interno degli orizzonti visibili e usa le mani e i piedi per agire, l’io grande si affida all’immaginazione, alla vista interiore, utilizza i pensieri e le emozioni per creare la realtà.
L’io piccolo ha inevitabilmente una visione più ristretta, può arrivare a vedere fino a dove gli occhi glielo permettono, perciò è ignaro di tutte le reali possibilità che avrebbe.
l’io grande, invece, è in grado di oltrepassare i limiti del visibile e del passato per creare possibilità nuove, a volte perfino inimmaginabili per l’io piccolo.
Dovremmo lasciarlo fare, senza ostacolarlo con i nostri inutili timori.
Proprio perché ha una ridotta visibilità, l’io piccolo tenderebbe a non correre rischi, a non lanciarsi nelle situazioni nuove senza avere delle certezze.
Specie se in passato ha sofferto, è stato ferito, tenderà a persuaderti a restare nella zona di comfort: “ti ricordi cos’è successo in passato? Non farlo, non rischiare”.
Ed è così che ci ritroviamo a non metterci in gioco al cento per cento, a resistere a un cambiamento e a ripetere sempre le stesse esperienze.
Di fronte a qualcosa di nuovo, l’o piccolo diventa diffidente, resiste, è reticente e come prove richiama alla memoria le vecchie ferite.
In un’intervista alla domanda: “Cos’è per te la felicità?”: il filologo Igor Sibaldi ha risposto: “per me la felicità è fidarmi di quel che succede”.
Ossia, lasciare che le cose che architetta l’io grande scorrano, senza resisterle.
Quasi sempre sono cose nate da strane sincronicità, inaspettate, certe volte arrivano quando non credevi di essere pronto, quando avevi in mente tutt’altro.
Ed è proprio qui che dovresti fidarti e lasciare fare all’Io grande che ha piani diversi dall’Io piccolo. Avere l’umiltà di dire: “non so tutto, non ho la comprensione di tutta la situazione, mi affido al mio sentire”.